Punti di Interesse
Scopri i luoghi della Mappa di Comunità e ascolta le tracce audio
Utilizza la mappa interattiva per navigare ed immergerti nei moltissimi punti di interesse individuati dalla nostra comunità e situati nel territorio dell’Appennino Faentino.
Clicca sulle puntine nella mappa ed ascolta le tracce audio per scoprire i luoghi
LA MAPPA DI COMUNITà
01. Rocca e Mura
02. Il Borgo
03. Fiume Senio
04. Parco Museo delle 127 Giornate di Riolo
05. Monte Mauro e la Pieve
06. Terme di Riolo
07. Calanchi
08. Rivoni di Toranello
09. Case di Gesso e Borgo dei Crivellari
10. Borgo Rivola
11. Grotta del Re Tiberio
12. Cava di Sasso Letroso
13. Chiesa della Costa
14. Vulcanetti di Bergullo
15. Rio Basino
16. Gallisterna
17. Limisano
18. Badia di S. Pietro in Sala
19. Isola e Ponte Bailey
20. Le Castelline
21. Cuffiano e il Mulino Fantaguzzi
La Rocca di Riolo, antica roccaforte della Valle del Senio, è un magnifico esempio di fortificazione militare che segue l’evoluzione delle tecniche offensive tardomedievali e sorse insieme al suo borgo sul finire del XIV secolo.
Il nucleo originale risale al 1388, quando le popolazioni della vallata decisero di sottomettersi al governo bolognese in cambio di protezione dalle scorrerie che stavano subendo. Viene così costruita una torre a pianta quadrata, oggi contenuta all’interno del mastio: questa torre aveva muri non più spessi di un metro, piani in legno collegati tra loro con scale a pioli e finestre molto piccole.
Dopo il 1450, quando la rocca venne contesa tra Astorgio Manfredi ed il nipote Taddeo, venne anche adattata all’avvento delle artiglierie da fuoco. La torre fu abbassata e rifasciata nei lati esterni, divenendo un mastio a tutti gli effetti mantenendo la sua funzione di ultimo nucleo difensivo, venne costruita la cinta muraria, le casematte per depositare le artiglierie, fu scavato il fossato e venne realizzato il ponte levatoio.
Nel corso del 1472 Carlo II Manfredi diviene signore della contea di Valsenio e ristruttura le difese del castello facendo costruire intorno al borgo una nuova cortina muraria con quattro torri cilindriche e un grande rivellino circolare nell’ampio fossato, fa rifasciare il mastio e inserisce i collegamenti tra i piani, fa aprire una portella del soccorso sul retro e fa costruire un nuovo torrione circolare nell’angolo est.
Verso la fine del Quattrocento, sotto il governo di Girolamo Riario e Caterina Sforza, la rocca raggiunge la sua massima efficienza militare e assume le forme che conserva ancora oggi.
Riolo Terme nasce nel 1388 come presidio per opera della città di Bologna.
Si sviluppa notevolmente grazie a Carlo II Manfredi che nel 1472 pone Riolo a capo della contea di Valsenio e ripercorrendo le vie che già erano presenti a quei tempi si può intraprendere una sorta di viaggio nel tempo.
A piazza Mazzanti, già piazza Maggiore, si poteva accedere da un rivellino, cioè una torre circolare che andava a difendere la porta di accesso alla fortificazione le cui fondamenta sono ancora evidenti nella pavimentazione della piazza.
Seguendo il perimetro del fossato fino a piazzetta Caterina Sforza si può osservare l’architettura ghibellina della rocca e si giunge al suo ingresso, un tempo dotato di ponte levatoio.
Imboccando via del Castello si giunge alla cinta muraria nell’angolo Ovest da dove è possibile osservare verso Sud la Vena del Gesso che taglia la valle del Senio, mentre dal belvedere si può scorgere in basso il fiume Senio.
Proseguendo lungo le mura dell’antico Borgo è possibile raggiungere l’unica torre superstite della cinta muraria, che andava a difendere il borgo di Riolo e, continuando a fiancheggiare gli edifici nati con le prime case del borgo, si raggiunge via della Pace, già via del Lazzaretto, sulla quale alla fine del 1500 si affacciava la Cà della Valle dove si riuniva il Consiglio della Contea di Valdisenio.
Nel cuore del borgo si trovano il campanile mozzato e la sala Sante Ghinassi, edificio eretto nel 1428 e luogo di culto fino al 1960 e da qui è possibile raggiungere e percorrere via Lolli, anticamente Contrada di Mezzo che, come le parallele Contrada di Sopra e di Sotto, conserva caseggiati molto antichi, come testimoniano i muri a base allargata.
Il fiume Senio si sviluppa per circa 90 km e nasce nell'Appennino tosco-romagnolo dal poggio dell'Altello, presso il monte Carzolano, in provincia di Firenze e dopo pochi km entra in provincia di Ravenna. Il Senio attraversa 10 comuni ed è l’ultimo affluente di destra del Reno.
Presso i Romani era noto come Sinnius, ma le origini del nome sono pre-romane, probabilmente celtiche. Anticamente il fiume, appena giunto a valle, si immetteva nelle acque del ramo orientale del Santerno, il cui corso era diverso da quello attuale e i fiumi uniti scorrevano in un unico alveo fino alle valli; fu dopo il Mille che i due rami del Santerno si divisero: il tratto di collegamento tra il ramo principale e il ramo secondario si prosciugò e sul letto del ramo orientale si convogliarono le acque del solo Senio.
La prima parte della vallata che attraversa il fiume si configura stretta, con fianchi ripidi e un paesaggio spesso ancora selvaggio. Passata Casola Valsenio il fiume scorre nel suo letto fino alla chiusa della Vena del Gesso, presso Borgo Rivola: questo è il punto più spettacolare dell’intera valle, dove il fiume ha eroso il monte fino a scoprirne le rocce vive che strapiombano dall’alto nelle sue acque.
Lungo il Senio, durante la seconda guerra mondiale, nell'inverno 1944-45, si svolsero per molti mesi aspri combattimenti fra i tedeschi e gli Alleati: l'avanzata degli Alleati in Romagna, iniziata in estate, si bloccò presso la linea difensiva che i tedeschi avevano costruito lungo il Senio lasciando in questi paesi segni indelebili. I tedeschi fecero del fiume la loro ultima roccaforte: dal dicembre 1944 sulle sue sponde il fronte si fermò, fino allo sfondamento alleato del 10 aprile 1945.
Il parco museo delle 127 giornate di Riolo sorge sotto le antiche mura del borgo ed è dedicato alle vittime del nazifascismo. Il parco espone le intriganti sculture in bronzo dell’artista riolese Giovanni Bertozzi, ispirate ai “bozzetti” che illustrano il libro di Leonida Costa “Le 127 giornate di Riolo”, realizzati dall’artista Carlo Vittorio Testi.
Durante il secondo conflitto mondiale, la cittadina di Riolo Terme fu caposaldo tedesco e teatro di aspri combattimenti che causarono ingenti danni, lutti e distruzioni. Le operazioni belliche del 1944-45 fecero sosta nel territorio riolese lungo il fiume Senio per 4 mesi durante. Riolo fu liberata l’11 aprile, dopo 127 lunghi giorni d’assedio, dal Gruppo di Combattimento “Friuli” e dalla Brigata Ebraica, inquadrati nel X Corpo d’Armata britannico.
All'inizio del percorso una targa in ferro annuncia e presenta il Parco. Il monumento principale è realizzato in bronzo, i basamenti delle altre strutture sono in pietra e reggono altorilievi in bronzo o in ceramica.
Monte Mauro, situato al confine tra Riolo Terme e Brisighella, con i sui 515 metri di altitudine è la cima più elevata della Vena del Gesso Romagnola ed il sito di maggiore interesse naturalistico e paesaggistico del Parco Regionale.
Le caratteristiche tre cime del monte sono incastonate in un vasto e selvaggio sistema di rupi e di doline, fittamente ricoperte da vegetazione: le imponenti rupi esposte a sud hanno un microclima che permette la presenza di habitat e specie tipicamente mediterranee; nel versante nord della Vena invece, le pendici sono meno ripide e si hanno generalmente pendii più dolci e ricoperti di boschi o boscaglie. Le spettacolari e scoscese pareti gessose del monte, inoltre, sono l’ambiente ideale per la nidificazione del gufo reale.
In origine il monte era indicato con il nome Tiberiacum, riferito al castello e alla pieve altomedievali qui presenti, ma progressivamente cominciò ad essere indicato come Mons Maior, il monte maggiore, che divenne infine Monte Mauro.
La Pieve di Santa Maria in Tiberiaci che si erge sul monte è sopravvissuta all'adiacente castello ora completamente cancellato e anticamente posto sulla cima più alta del monte stesso. Questa Pieve si nascondeva tra l'alta vegetazione, evidenziandosi solo grazie al suo caratteristico campanile e fungeva da fulcro della vita sociale ed economica, oltre che religiosa. I primi documenti che ne attestano la presenza risalgono al X secolo, ma l'edificio attuale è frutto di una completa restaurazione avvenuta nel 2004.
Le fonti salutari di Riolo e le loro virtù terapeutiche erano note fin dalla preistoria agli aborigeni della Valle del Senio, che ne fecero oggetto di culto e continuarono ad essere frequentate anche in epoca romana e medioevale.
Successivamente la notorietà delle proprietà curative di queste acque e fanghi si diffuse in tutta Europa e ospiti illustri soggiornarono a Riolo tra i quali Lord Byron, Gioacchino Murat e i principi Bonaparte, Pellegrino Artusi, Carducci.
Durante il XIX secolo l’afflusso sempre crescente di ospiti suggerì la creazione di un centro termale di grande valore: nacquero così nel 1877 gli eleganti stabilimenti delle Terme di Riolo, situati nel cuore verde della Romagna e incastonate in un meraviglioso parco secolare.
Il centro termale è caratterizzato dal fascino dell'architettura di fine Ottocento, ed è rinomato in tutta Italia per le qualità terapeutiche delle sue acque. Infatti, il fiore all’occhiello delle Terme di Riolo sono proprio le sue acque, chiamate Breta, Margherita e Vittoria, e i fanghi sorgivi. Provenienti da fonti diverse presenti nella zona, le acque di Riolo si distinguono per le loro proprietà minerali. La Breta, ad esempio, è un’acqua estratta da una falda situata nelle profondità del Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola. Quando si parla di fanghi, quelli di Riolo Terme detengono un primato in regione: sono gli unici a sgorgare da piccole aperture coniche nel suolo, chiamate vulcanetti, naturalmente mescolati con l’acqua salsobromoiodica.
A differenza di altri fanghi, dunque, quelli delle Terme di Riolo sono per natura carichi di sostanze terapeutiche.
I calanchi sono formazioni del terreno causate dall’erosione delle acque di dilavamento dei terreni argillosi o marnosi, che vengono incisi da incanalature profonde separate da costoni a forma di lama di coltello, facilmente disgregabili.
Le argille di cui sono costituiti questi terreni, quando si imbevono di acqua tendono a scivolare e franare, creando creste e pinnacoli.
Il paesaggio biancheggiante tipico dei calanchi, arido e spoglio, rappresenta luoghi importanti dove si trovano argille che si sono depositate sul fondo del mare tra 5 e 2 milioni di anni fa. Queste zone sono ricche di fossili e presentano caratteristiche mineralogiche, geologiche e morfologiche di grande rilievo scientifico e non di meno sono legati a particolari eventi storici e culturali, come ad esempio l'estrazione di materiali per la ceramica.
In questi luoghi si possono osservare paesaggi distintivi, dove l’ambiente vegetale è sostanzialmente ridotto rispetto ad altri contesti, ma non per questo meno interessante, trattandosi infatti di specie dotate di forme di adattamento alle condizioni estreme dell'ambiente.
Si possono osservare praterie dall'aspetto mutevole che tendono a scomparire nei mesi più caldi, specie arbustive come ginestre, tamerici, rosacee e qualche ginepro, e le forme arboree sono quasi totalmente assenti se non dove, la presenza di laghi o stagni dovuta ai terreni impermeabili, ha portato al formarsi di boschetti con querce, sorbi e qualche pioppo bianco arroccati e isolati tra zone semidesertiche.
Toranello è una località all’interno del comune di Riolo Terme immersa nel verde, tra le coltivazioni tipiche di questo territorio.
Il Rivone di Toranello è un potenziale geosito per la presenza di acqua salata, dove “sembra che... un serpente con la cresta custodisca un castlè d’or”.
Il borgo dei Crivellari è ubicato sul versante nord della Vena del Gesso, quasi appiattito sotto monte Mauro, e rappresenta uno dei pochi nuclei sorti sulle rocce romagnole, diventando un esempio di paese costruito “sul gesso e con il gesso”.
Le prime notizie sul nucleo di case che formarono il borgo risalgono al XIII secolo: queste abitazioni erano costruite unicamente con materiali locali come selce, blocchi di gesso selenitico e gesso cotto utilizzato come legante.
Il nome del borgo deriva forse dal latino “cribrum” (crivello o setaccio), poi traslato nel romagnolo “carvel”, a testimonianza del lavoro di cavatori a cui erano dediti gli abitanti. Gli unici poli economici del borgo, in un contesto ambientale che rendeva particolarmente difficoltoso l’accesso alle risorse idriche, erano un’agricoltura arretrata e un’estrazione del gesso svolta a carattere artigianale.
Sono infatti innumerevoli i siti estrattivi e le fornaci da gesso, sempre di piccole dimensioni, individuate nei pressi dell’abitato.
Il rapporto tra uomo e ambiente era molto stretto e le grotte della zona di più facile accesso, come il Buco delle Fate e il Buco della Regina, erano sfruttate per tenere al fresco frutta, acqua e vino.
Questo particolare insediamento abitativo fu poi progressivamente abbandonato a partire dal secondo dopoguerra, ma oggi, passeggiare tra le sue rovine è un’esperienza molto suggestiva e visitandolo non è difficile immaginare quanto potesse essere dura la vita dei suoi abitanti.
Borgo Rivola è una frazione del Comune di Riolo Terme e si trova all'interno del Parco regionale della Vena del Gesso Romagnola. Qui si possono visitare la Grotta del Re Tiberio, che è la più celebrata del Parco Regionale della Vena del Gesso, e il Centro Visite sul Carsismo e la Speleologia, un museo che si pone come punto di riferimento tematico del territorio per scoprire l'affascinante mondo sotterraneo della Vena del Gesso.
Borgo Rivola sorge al centro di una conca attorniata da un lato dalla Vena del Gesso e dall’altra dai calanchi: una particolarità unica come paesaggio e come insediamento abitativo. Si tratta infatti, di un caratteristico esempio di insediamento popolare artigianale e del bracciantato agricolo, che ad oggi rappresenta uno degli angoli più suggestivi della vallata. Il centro storico è costruito proprio sopra un piccolo promontorio gessoso detto “ripula”, cioè “piccola riva”, da cui deriva il nome Borgo Rivola.
Il nome dell’abitato appare per la prima volta negli archivi comunali di Imola nel 1316, ma l’insediamento ha radici molto più antiche: nei dintorni vi sono resti di residenze e ville romane e sono stati rinvenuti anche i resti di una necropoli dell’età eneolitica.
Qui, la stretta in cui la vena del gesso costringe il fiume Senio, crea uno dei punti più suggestivi della vallata: lo stacco netto col paesaggio dei calanchi a valle, la borgata costruita sul promontorio, la Grotta di Re Tiberio che si apre sulla balzata gessosa e il fiume stesso che perde il suo carattere torrentizio per placarsi nelle anse verso Riolo, fanno di questo luogo un punto focale di tutta la vallata.
Da Borgo Rivola è possibile intraprendere alcuni dei percorsi escursionistici più suggestivi del Parco Regionale, come ad esempio l’anello della Riva di San Biagio, a cavallo tra le provincie di Ravenna e Bologna, o l’anello di Monte Mauro, il più completo e affascinante che e permette di scoprire tutte le peculiarità del parco.
La Grotta del Re Tiberio è la grotta più nota e "celebrata" del Parco della Vena del Gesso Romagnola. La grotta si apre nella Valle del Senio, nelle formazioni gessose di Monte Mauro, di fronte a Borgo Rivola e costituisce la parte terminale di un vasto sistema di cavità naturali che ha uno sviluppo complessivo di oltre 6 chilometri e un dislivello di 223 metri. Queste grotte drenano le acque dell'area di Monte Tondo: i torrenti sotterranei, dopo un percorso esterno di alcune centinaia di metri, confluiscono nel Fiume Senio.
La Grotta del Re Tiberio costituisce uno dei contesti archeologici più noti e interessanti della regione e fu esplorata a più riprese: le indagini più importanti si svolsero tra il 1865 e il 1935, rispettivamente ad opera di Giacomo Tassinari, Domenico Zauli Naldi, Giuseppe Scarabelli e Riccardo Lanzoni. Gli scavi misero in luce la storia millenaria di questa cavità naturale con reperti databili dall’età del bronzo fino al basso medioevo. A partire dell’età del bronzo, infatti, la grotta venne utilizzata a scopi funerari e successivamente, nell’età del ferro, rappresentò uno dei siti più importanti per il culto dell’acqua e delle cavità naturali in Romagna.
Con l’arrivo dei romani non cessò la frequentazione della grotta, nei cui pressi continuarono ad essere in vita culti di natura salutare. In epoca medievale nella grotta si ha traccia della presenza di eremiti isolati intorno all’anno Mille, mentre tra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo fu occupata da una piccola officina metallurgica, forse ad opera di falsari, per il riciclo dei manufatti in bronzo provenienti dalle offerte rituali.
Lungo la cresta di Sasso Letroso, ubicata sulla sinistra del fiume Senio circa 500m dopo il centro di Borgo Rivola, si trovano le uniche cave di lapis specularis esterne ai gessi di Monte Mauro e Monte della Volpe.
Le cave della Vena del Gesso Romagnola sono le prime scoperte in Italia in cui era praticata l’estrazione del gesso già in età romana, quando veniva usato come valida alternativa al vetro. Il lapis specularis infatti è un gesso secondario, a grandi cristalli trasparenti, facilmente suddivisibile in lastre piane dello spessore desiderato quando viene tagliato lungo il piano di sfaldatura e deve il suo nome proprio all’uso che ne veniva fatto in epoca romana. Per queste sue caratteristiche, questo tipo di gesso, è stato oggetto di intensa attività estrattiva e di una commercializzazione ad ampio raggio, in modo particolare nei primi secoli dell'Impero. L'impiego più diffuso era per le finestre delle abitazioni, ma era impiegato anche nelle lettighe e per realizzare la copertura di piccoli canestri in cui coltivare ortaggi nel periodo invernale.
Nella zona di Sasso Letroso il principale punto di interesse è costituito da una cavità che presenta chiare tracce di fenomeni carsici e che si trova alla base della falesia: le pareti di questa grotta sono in gran parte scalpellate e in una fessura sono visibili resti di una vena di lapis specularis. Pochi metri a destra di questa, vi è una nicchia a sua volta completamente scalpellata. Nel corso del tempo l’ambiente principale è stato probabilmente adibito a diversi usi, ne sono testimonianza un abbeveratoio scavato nel gesso e diverse tracce di focolari. Un’altra cavità completamente artificiale si trova sempre alla base della parete gessosa una quindicina di metri ad ovest della precedente.
Fino al XVI secolo, la località di Costa ebbe come riferimento religioso la chiesa di S. Martino in Saxo, ricordata la prima volta nel 1126-30 nella bolla di Onorio II in favore della chiesa imolese. Bolle successive si riferiscono a S. Martino come sede di curtis, cioè il fondo agricolo dominante da cui ne dipendevano altri, a testimonianza della sua importanza come centro ecclesiastico e amministrativo per l’organizzazione del territorio circostante.
L’appellativo in Saxo, che contraddistingueva la chiesa di S. Martino, indica il suo collegamento con il centro fortificato di Sasso, dove sorgeva l’antico castrum Saxi. Fino a i primi anni del ‘500 questa fu la principale chiesa della zona ma successivamente il suo ruolo venne progressivamente rilevato dalla vicina chiesa di S. Stefano in Paganico che la assorbì, incamerandone i beni.
L'attuale parrocchia della Costa risulta quindi dall'unione delle due antiche chiese: la prima cessò di esistere nel 1627 e venne poi adibita a casa colonica; della seconda invece si hanno le prime notizie nel 1419 il cui appellativo “in Paganico” era riferito al nome del fondo su cui sorse.
Dei Vulcanetti di Bergullo, o “Buldur” in dialetto locale, si parla fin dal 1500 ed è da qui che viene estratto il fango impiegato nelle cure termali.
I Vulcanetti si trovano lungo il Rio Sanguinario e sono formati da coni di argilla che possono anche raggiungere il diametro di 3-4 metri che si formano a seguito della risalita di fango e fluidi dal sottosuolo. I “Buldur” sono quindi prodotti dalla fuoriuscita di fango argilloso che viene sospinto dai gas in pressione presenti in profondità che, trovando vie di fuga lungo fratture della parte superiore della crosta terrestre, riescono a giungere in superficie. Sia il classico gorgogliare, che la formazione delle bolle sono dovuti alla presenza di gas naturale.
Il termine vulcanetto è legato unicamente alla loro morfologia e non ha niente a che vedere con i veri e propri fenomeni vulcanici.
L’attività dei vulcanetti non è sempre regolare: si sono sempre alternate fasi di maggiore e minore crescita, con l’andare del tempo l’attività è destinata a calare e scomparire.
La vegetazione che si sviluppa intorno ai coni è piuttosto scarsa e si tratta di specie adatte a sopportare condizioni estreme di salinità e di aridità.
L’inghiottitoio del Rio Stella e la grotta risorgente del Rio Basino costituiscono un grande esempio di traforo idrogeologico in roccia gessosa che, con i suoi 5 chilometri di sviluppo, è tra i maggiori dell’intero continente. Non ci sono datazioni a riguardo, ma il sistema è di probabile età Pleistocenica superiore, probabilmente non più antico di 100.000 anni.
Il primo ad intuire che la valle cieca e la risorgente potessero far parte di un unico grande sistema carsico che attraversa la dorsale dei gessi fu De Gasperi nel 1912. Fu solo agli inizi degli anni ’50 che gli speleologi riuscirono a penetrare per circa 700 metri nella risorgente del Rio Basino e riuscirono a raggiungere la congiunzione nel 1964.
Le acque del Rio Stella inizialmente scorrono alla luce del sole, su rocce non carsificabili, poi nel punto più basso della valle cieca, questo rio viene a contatto con il gesso e scompare improvvisamente sotto terra. Percorrendo l’inghiottitoio del Rio Stella si possono incontrare enormi massi di frana e zone caotiche dove è facile perdere l’orientamento. Questi ambienti di crollo sono ancora più ampi nella parte mediana della grotta, dove sono disposti su diversi livelli.
Seguendo il torrente sotterraneo più a valle si percorrono invece ampi meandri dalle pareti sinuose, che formano i canyon tipici dei tratti suborizzontali delle grotte di questo territorio, che si sono formati con il progressivo abbassamento del torrente. Dopo un percorso sotterraneo di circa 1,5 chilometri il Rio Stella torna a scorrere alla luce del sole con il nome di Rio Basino e, prima di lasciare i gessi percorre una stretta e affascinante forra tra massi di frana, meandri, piccoli canyon e brevi cascate. Infine il Rio Basino abbandona definitivamente i gessi e, dopo un percorso di circa 2 chilometri nelle argille, si immette nel fiume Senio, nei pressi della località di Isola.
Con il nome di Gallisterna anticamente veniva indicato un tratto di territorio della vallata del Senio di circa 6 km, che da Serravalle si prolungava fino alla Vena del Gesso. Alle estremità di questa zona valliva c’erano due castelli: quello di Serravalle costruito dai Manfredi nel XIII secolo, e quello di Sassatello, appollaiato sulla Vena del gesso. Fin dall’antichità questa è sempre stata una zona strategica perché precludeva il passaggio verso la grande comunicazione ed i passaggi commerciali in direzione delle città ai Fiorentini e gli scambi vicendevoli fra toscani e romagnoli.
La chiesa di Gallisterna, dedicata a S. Tommaso Apostolo, anticamente si trovava nella borgata di Isola, ed è ricordata per la prima volta in un testamento del 1285 con il nome di chiesa di Isola. Essa dovrebbe corrispondere all'attuale S. Tommaso di Gallisterna che fu trasferita più in alto, nella posizione attuale, probabilmente a seguito di qualche inondazione. La Chiesa di S. Tommaso venne ricostruita, insieme con la canonica, nel 1496 e i lavori furono affidati a mastro Andrea di ser Maso Cavina, mentre il campanile con una sola campana è ricordato in un inventario del 1514.
La chiesa attuale venne ricostruita nel 1843 ed il campanile, dotato di quattro campane e alto 38 m, fu costruito nel 1910 su disegno del capomastro Pietro Sangiorgi di Russi. La chiesa presenta tre altari: sopra a quello maggiore campeggia un quadro raffigurante S. Tommaso, uno dei primi lavori del pittore Giovanni Piancastelli.
La località di Limisano nel medioevo era posta al limite fra il contado imolese e quello faentino: da questa sua particolare posizione deriva forse il suo nome, infatti “limes” vuol dire “confine”.
Le prime testimonianze di Limisano risalgono alla fine del XII secolo e riguardano alcuni documenti relativi a delle concessioni terriere. La prima attestazione di una chiesa in questa località, invece, è del 1291: dedicata all’assunzione di Maria vergine, veniva chiamata “chiesa nuova” a testimonianza della sua recente fondazione. Questo primo edificio ecclesiale è integrato nella canonica della chiesa attuale, ricostruita nel 1901 su disegno dell’architetto Anselmo Mongardi.
Qui vicino, la località La Derchia ricorda, nell’odierno toponimo, l’antico castello e centro di Laderchio, che non era una semplice roccaforte ma un borgo abitato e cinto da mura, di grande importanza dal punto di vista dell’organizzazione del territorio. Questo distretto comprendeva, oltre a S. Pietro in Sala, i centri minori di Ossano, Limsano, Cuffiano e Riolo.
Nella seconda metà del XIII secolo il castello fu più volte conteso tra faentini e bolognesi: i due comuni, già alleati nella lotta contro Imola, a quel tempo erano infatti divenuti rivali. Nel secolo successivo passò ad Astorgio Manfredi e poi al comune di Bologna, che però non aveva più grandi interessi nella località, avendo promosso nel 1388 la fortificazione di Riolo come centro alternativo per il controllo del territorio. L’importanza di Laderchio diminuì di pari passo con il crescere dell’importanza di Riolo, che a partire dalla fine del XIV secolo rappresentò il nuovo punto di riferimento della zona, centro di organizzazione e concentrazione demografica.
La costruzione della Badia di S. Pietro in Sala risale al IX secolo, ad opera dei frati Benedettini.
Questo monastero nel corso del tempo divenne ricco e potente, a testimoniarlo una bolla papale del 1187 di Gregorio VIII che contiene l’indicazione dei molti beni, chiese e ospedali che dipendevano da esso: nove chiese e due ospedali, con le relative dotazioni, situate in un vasto raggio territoriale.
Fra il XV e il XVI secolo anche la Badia fu soggetta alla crisi della proprietà monastica che si riscontra un po’ ovunque in Italia.
Nel 1476 i Manfredi di Faenza portano via con le armi le entrate monastiche e nel 1508 tutti i terreni dell’abbazia risultano affittati ad un laico.
Presso l’abbazia sorgeva un ospedale, intitolato ai santi Giacomo e Filippo, attestato la prima volta nel 1411; in un documento successivo, del 1424, è chiamato “Ospedale di Macchio”, dal nome del probabile fondatore, nativo di Laderchio e nel ‘600 il luogo era chiamato anche “Ospitale della Badia di Riolo”.
Nel 1797 il monastero fu venduto alla famiglia Gottarelli. Resti murari della vecchia chiesa sono incorporati nell’attuale abitazione ed è visibile un piccolo campanile a vela con una campana quattrocentesca.
La frazione di Isola, a pochi chilometri dal centro di Riolo terme in direzione Casola Valsenio, sorge sulle sponde del fiume Senio. Il nome significativo di questa frazione indica un’isola fluviale e rimanda al paesaggio incolto e paludoso del primo medioevo.
È del 1285 la menzione di una “chiesa di Isola” che probabilmente corrisponde all’attuale località, chiesa che sarebbe stata poi successivamente trasferita in alto, forse in seguito ad un’inondazione, e andrebbe identificata con l’attuale chiesa di S. Tommaso di Gallisterna.
Poco prima di Isola, sul fiume Senio si trova il ponte Bailey, un ponte di ferro risalente alla seconda guerra mondiale, costruito in sostituzione al precedente, distrutto per tagliare i collegamenti durante gli avvenimenti bellici.
Ca’ Castellina è uno degli edifici simbolo dell’edilizia rurale della Vena del Gesso e si trova sul versante nord di Monte Mauro, al confine con le argille azzurre.
La prima attestazione documentaria nota dell’insediamento è tardomedievale, essendo citata in un atto del 1473 e nei suoi pressi doveva essere presente una celletta con un’immagine sacra, da cui il fondo prese il nome. Il corpo del fabbricato originario è di tipo peninsulare a cui sono stati aggiunti nel tempo diversi altri edifici e mostra la classica scalinata esterna coperta detta “balchio”. Le stalle, poste al piano terra, mostrano aperture simili a feritoie, e non portelli quadrangolari come nelle altre case.
In questo fabbricato si possono riscontrare alcuni tratti tipici dell’edilizia di queste zone: l’uso quasi esclusivo del gesso come materiale da costruzione e come legante nelle murature, l’assenza di pozzi in quanto le risorse idriche intercettabili risultavano solitamente inutilizzabili a fini potabili a causa dell’eccessiva quantità di sali disciolti, un numero ridotto di annessi, ricollegabile all’utilizzo di piccole cavità naturali come cantine e magazzini.
Qui vicino è presente la dolina della Castellina, una grandiosa manifestazione del paesaggio generato dal carsismo: sul fondo della dolina si apre un inghiottitoio, cioè un imbuto naturale capace di confluire le acque superficiali in profondità, convogliandole nel reticolo idrografico carsico.
Nelle vicinanze è visibile il sito archeologico di Ca' Castellina: una cava di estrazione di blocchi di gesso di età romana. Gli scavi effettuati nel corso degli anni da archeologi e ricercatori hanno portato alla luce blocchi di gesso e gradoni di estrazione di età romana oltre a una costruzione rettangolare, di età moderna, ed una notevole quantità di reperti che spaziano nel tempo tra l'età del ferro e l'età moderna.
Un fondo denominato “Cuffianello” è documentato fin dall’anno 854 ed è possibile che esso corrisponda all’attuale Cuffiano, attestato con tale nome solo più tardi. Questo luogo era incluso nel distretto rurale di Laderchio e poi, a partire dal XV secolo in quello di Riolo.
La località di Cuffiano fu priva di chiesa fino al XVII secolo: esisteva allora solo una piccola cella in onore della Madonna che venne trasformata in chiesa vera e propria nel 1633, per istanza dei Fantaguzzi che ne restarono a lungo rettori e patroni.
In questa frazione è possibile osservare i resti di un antico mulino che ebbe origine nel 1438 con il nome di mulino di Marcazzo, poi mulino di Savurano e più tardi mulino dei conti Naldi e solo da ultimo mulino di Fantaguzzi, come è conosciuto oggi. Il mulino cessò la sua attività nel 1970 e ad oggi è inserito lungo il percorso della memoria col quale si vogliono ricordare le “127 giornate di Riolo”: quelle che, dal 5 dicembre “44 al 11 aprile “45, segnarono per Riolo la linea del fronte della Linea Gotica. Il molino Fantaguzzi fu infatti il primo obbiettivo militare conquistato dalla Brigata Ebraica dopo la sua formazione. Proseguendo, liberò Cuffiano, salì sul monte Ghebbio, liberò la Serra di Castel Bolognese e proseguì verso Imola.
Scopri la bellezza di un passato che vive ancora oggi!